RISARCIMENTO DEL DANNO: IL DANNO DA “NASCITA INDESIDERATA”
Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 2275/2023, uniformandosi alla giurisprudenza della Cassazione, ha affermato che l’ipotesi della nascita indesiderata ricorre quando, a causa del mancato rilievo da parte dei medici dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la donna perde la possibilità di abortire. In tali ipotesi, il diritto del quale si chiede tutela è quindi quello al risarcimento dal danno da privazione della facoltà di esercitare una consapevole scelta se effettuare, o meno, un aborto.
Il Giudice di merito sulla base delle circostanze allegate e delle prove fornite deve prendere in considerazione i tre elementi previsti dalla legge: rilevanza delle malformazioni; grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre; volontà espressa o presunta di abortire.
Si tratterà quindi, in sostanza, di stabilire se con la notizia della malformazione del feto sarebbe, o meno, insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute (fisica o) psichica della donna, con l'avvertenza che la circostanza che esso si sia, o non si sia, in concreto verificato dopo la nascita del bambino malformato non può essere considerata sintomaticamente determinante, giacché quella valutazione va fatta in relazione all'epoca in cui il medico omise la corretta informazione.
Va poi rammentato che il risarcimento del danno per il mancato esercizio del diritto all'interruzione della gravidanza non consegue automaticamente all'inadempimento dell'obbligo di esatta informazione che il sanitario era tenuto ad adempiere in ordine alle possibili anomalie, o malformazioni, del nascituro, ma, come detto, necessita anche della prova della sussistenza delle condizioni previste dagli artt. 6 e 7, L. n. 194/1978 per ricorrere all'interruzione di gravidanza nonché dalla prova, a carico della gestante, che qualora fosse stata informata dagli operatori sanitari circa la presenza di anomalie fetali, ella avrebbe optato per la volontaria interruzione della gravidanza.
Ed invero, la Suprema Corte ha sottolineato come la prova sia qui costituita da un fatto complesso: la rilevante anomalia del nascituro, l'omessa informazione da parte del medico della possibilità di ulteriori e più complessi accertamenti diagnostici, il grave pericolo per la salute psicofisica della donna, ma - soprattutto - la prova della scelta abortiva di quest'ultima e, cioè, la convincente dimostrazione che ella, ove adeguatamente informata circa la presenza di anomalie fetali, avrebbe esercitato il proprio diritto di scelta in favore della pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.
Inoltre, In caso di “nascita indesiderata” il risarcimento danni spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all'interruzione della gravidanza.