DIVORZIO: L’INDENNITÀ DI INCENTIVO ALL’ESODO SPETTA ALL’EX CONIUGE?
Con sentenza n. 6229/2024 le Sezioni Unite della Corte di cassazione intervengono per dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto in merito alla natura dell’incentivo all’esodo ex art. 12 bis della L. n. 898 del 1970 e del diritto del coniuge titolare dell’assegno divorzile, che non si sia sposato successivamente, a percepirne una quota, così definendo il perimetro degli importi che ex art. 12-bis L. n.898/70 vanno riconosciuti al coniuge titolare di un assegno divorzile, escludendo dalla ripartizione l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, perché ad essa non equiparabile, trattandosi di accordo retributivo maturato successivamente al divorzio e non di una retribuzione differita.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Milano, respingendo le impugnazioni di entrambi i coniugi, confermava la decisione di primo grado che aveva negato il diritto della ex moglie a percepire la quota di spettanza di quanto percepito dall’ex marito in ragione della cessazione del rapporto di lavoro in relazione alla somma complessiva erogata cumulativamante a titolo di «indennità di fine rapporto, indennità equipollenti, altre indennità e prestazioni in forma di capitale.
Nella decisione in commento, le Sezioni Unite muovono dall’analisi dell’istituto previsto dall’art. 12-bis L. n. 898 del 1970, aggiunto dall'art. 16, comma 1, della L. n. 74/1987, il quale prescrive, al primo comma, che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza.
Il campo di indagine delle Sezioni Unite era se tale indennità comprenda anche altre indennità, quale il cd. incentivo all’esodo.
Innanzitutto, le Sezioni Unite hanno rilevato che nel caso di incentivo al collocamento in quiescenza del lavoratore non si ravvisa il medesimo fondamento della indennità di fine rapporto, il quale viene identificato dalla giurisprudenza di legittimità come “istituto di retribuzione differita” al fine di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato, ovvero di realizzare la ripartizione tra i coniugi di un'entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio, così soddisfacendo esigenze anche di natura compensativa, rapportate cioè al contributo personale ed economico dato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune
Del resto, l’art. 12-bis menziona l’indennità di fine rapporto con un oggetto non perfettamente sovrapponibile al trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.
Le Sezioni Unite hanno, infatti rilevato, un dato distintivo tra i due istituti: la partecipazione dell’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile ad una quota del trattamento di fine rapporto si ricollega ad una “situazione segnata dallo squilibrio determinato dal sacrificio delle ragionevoli aspettative economiche”, che condivide il fondamento dello stesso diritto all’assegno divorzile, diritto che trova piena giustificazione “in quella porzione reddituale maturata nel corso del rapporto e accantonata periodicamente per divenire esigibile al momento della cessazione dello stesso, giacché essa pure integra un incremento conseguito attraverso il contributo prestato dal coniuge che ha sopportato il detto sacrificio.” Si tratta in sostanza si una retribuzione differita che non può restare a totale beneficio del soggetto cui è erogata, pena il rischio di uno sbilanciamento ingiustificato tra le posizioni patrimoniali dei coniugi, mentre l’incentivo all’esodo non integra una retribuzione differita.
Nella sentenza in commento, le SS.UU. osservano altresì che, seppure l’indennità incentivante all’esodo sia “definita attraverso lo stesso elemento predicativo che connota, sul piano lessicale, il trattamento di fine rapporto”, la disciplina di favore di cui all’art. 12-bis citato non si riferisce a tutte le prestazioni cui il lavoratore ha diritto in dipendenza della cessazione del contratto, ma solo a quelle che obbediscono alla medesima logica (retributiva) cui risponde il trattamento di fine rapporto.
Il criterio dirimente, al fine di stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dall'art. 12-bis, cit. non è, dunque, il carattere strettamente o prevalentemente retributivo della indennità, quanto, piuttosto, il correlarsi dell'attribuzione all'incremento patrimoniale prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro del coniuge che si è giovato del contributo indiretto dell'altro.
In definitiva, il contrasto giurisprudenziale che ha determinato il rinvio della controversia alle Sezioni Unite deve risolversi con l'affermazione del principio di diritto per cui, in tema di determinazione dell’assegno divorzile, la quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12-bis della L. n. 898 del 1970 n. 898, introdotto dall'art. 16 L. n. 74 del 1987, al coniuge titolare dall'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore, tra le quali non è ricompresa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.