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DIRITTO DI FAMIGLIA: NO DIRITTO ALL'ASSEGNO DIVORZILE SE IL CONIUGE NON PROVA L'IMPOSSIBILITA' DI PROCURARSI ADEGUATI MEZZI DI SOSTENTAMENTO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26082/2020, è tornata a pronunciarsi in materia di assegno divorzile, e in particolare sul diritto del coniuge a percepirlo in caso di concessione di un mutuo alla parte richiedente.

Nel caso di specie una donna aveva chiesto al Tribunale che le venisse riconosciuto il diritto a percepire un assegno divorzile dall’ex marito. I giudici del merito, tuttavia, avevano respinto la sua richiesta in quanto la ricorrente non era riuscita a provare la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto a percepire un assegno divorzile disponendo di una capacità economica tale da giustificare il diniego dei giudici.

La donna si rivolgeva quindi alla Corte di Cassazione impugnando la decisione dei giudici di merito lamentando il mancato esame da parte dei giudici del suo CUD e la documentazione relativa alla sua condizione di invalida.

La Corte ha evidenziato come la decisione impugnata non fosse basata esclusivamente su una carenza probatoria, ma sul fatto che la ricorrente disponeva di una capacità economica superiore rispetto a quella da lei dichiarata in giudizio, circostanza confermata dalla capacità della donna di far fronte ad un mutuo.

A seguito della sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite, che ha segnato il ben noto superamento del tenore di vita in costanza di matrimonio quale presupposto e criterio per la determinazione dell’assegno divorzile, i giudici, al fine di riconoscere il diritto a percepire un assegno divorzile, devono ora comparare le condizioni economiche delle parti, e verificare altresì l’adeguatezza o meno dei mezzi di sostentamento del richiedente e la sua eventuale oggettiva impossibilità di procurarseli in modo autonomo.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto la ricorrente si era limitata a riproporre le stesse censure già sollevate contro la sentenza di primo grado e quindi già analizzate dalla Corte d’Appello.