DIRITTO DEL LAVORO: QUANDO IL LICENZIAMENTO E’ RITORSIVO?
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 741/2024, è tornata a pronunciarsi sul tema del licenziamento “ritorsivo” affermando che per accertare la nullità di un licenziamento perché fondato su un motivo illecito occorre provare che l’intento ritorsivo è un'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore.
Nel caso di specie, il responsabile di un esercizio commerciale aveva contestato il suo trasferimento in altra sede, ottenendo dal Tribunale del lavoro di Lodi la riammissione al lavoro presso il punto vendita di provenienza. Ripreso il servizio, il lavoratore era stato destinatario di varie contestazioni disciplinari conclusesi con alcune multe ed un provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e, infine, era stato licenziato per giusta causa per avere, tra l’altro, strattonato una collega.
Il lavoratore proponeva pertanto ricorso presso il Tribunale di Padova per far dichiarare la nullità o, in subordine, l’illegittimità del licenziamento ma, all’esito della fase sommaria, il Giudice lo respingeva, ritenendo legittimo il licenziamento; questa decisione veniva però ribaltata dallo stesso Tribunale che in sede di opposizione dichiarava illegittimo il recesso per difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva.
Successivamente, la Corte di appello di Venezia accoglieva il reclamo proposto dal lavoratore e, riformando la sentenza del Tribunale, dichiarava nullo il licenziamento in quanto ritorsivo, così reintegrandolo nel posto di lavoro con conseguente pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore.
La società datrice di lavoro ricorreva quindi in Cassazione contestando la decisione della Corte di appello in quanto in contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui il motivo illecito deve essere determinante e costituire l’unica effettiva ragione del recesso ed essere esclusivo. Questo motivo è stato accolto dalla Suprema Corte che ha così annullato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di appello di Venezia.
In altri termini, il licenziamento può definirsi ritorsivo quando è comminato come ingiusta e arbitraria reazione ad un qualsiasi comportamento legittimo del dipendente, ma la sussistenza di un motivo illecito non comporta – di per sé – l’applicazione della tutela reintegratoria.
Peraltro, si legge nella motivazione della sentenza, “l’onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante … grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio”.
In conclusione, per la Cassazione i giudici di merito hanno errato ad attribuire efficacia determinativa esclusiva al motivo ritorsivo solo a causa della inidoneità dell’addebito, per difetto di proporzionalità, pur avendo preventivamente accertato la commissione dell’illecito disciplinare.