DIRITTO DEL LAVORO: INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO PER DIRITTO COMUNE IN VIOLAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO
Con l’ordinanza n. 29148/2024, la Sez. lavoro della Cassazione ha accertato l’inefficacia, per “diritto comune dei contratti”, del licenziamento di un giornalista.
Nel caso di specie, un giornalista, licenziato nel 2020, aveva impugnato il licenziamento, in quanto disposto senza la preventiva richiesta di parere al CdR (Comitato di Redazione), obbligatorio in base al contratto collettivo nazionale.
Il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso, mentre la Corte d’Appello di Milano aveva accolto l’appello dichiarando l’inefficacia del licenziamento in base alla mancata richiesta al CdR di parere preventivo ed aveva affermato la continuazione del rapporto in base al diritto comune, respinta l’opposta richiesta di detrarre quanto il giornalista aveva guadagnato altrove per lo stesso periodo (aliunde perceptum).
Confermando la sentenza d’appello, la Corte di cassazione ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento e per l’effetto ha accertato la continuazione del rapporto in base al “diritto comune dei contratti”, senza applicazione dell’art. 18 St. lav: con «prosecuzione de iure del rapporto di lavoro e la permanenza, in capo al datore di lavoro, dell’obbligo retributivo fino all'effettiva reintegrazione del dipendente o al suo valido ed efficace licenziamento». La Cassazione ha inoltre affermato la detraibilità del c.d. aliunde perceptum con applicazione tacita del comma 4 dell’art. 18 St. lav. previsto per l’annullamento del licenziamento.
La Corte di cassazione ha quindi applicato sia il “diritto comune dei contratti” sia l’art. 18 St. lav., escludendo, per le conseguenze dell’invalidità del licenziamento, la possibilità di applicare il diritto del lavoro, ma allo stesso tempo applicando il comma 4 dell’art. 18 St. lav. per riconoscere la deducibilità dell’aliunde perceptum.
Dunque, la Corte di cassazione, confermando la precedente giurisprudenza ha affermato che la violazione di norma del contratto collettivo sui licenziamenti comporta la sanzione massima dell’inefficacia, ma con applicazione del diritto comune dei contratti e non delle leggi di diritto del lavoro sui licenziamenti (L. n. 604/1966 e art. 18 St. lav.), ritenuto applicabile solo per i casi di nullità previsti espressamente dalla legge.
Appaiono criticabili le affermazioni della Corte di cassazione, per cui sarebbero applicabili due distinti e diversi diritti per le conseguenze della violazione di norme imperative sui licenziamenti. Il “diritto comune dei contratti” non può sostituire le norme previste dal diritto del lavoro per i licenziamenti del lavoratore subordinato, sia per il principio di specialità, sia e soprattutto perché le leggi sui licenziamenti sono successive e per la materia abrogative del diritto comune. In breve, il diritto del lavoro ha sostituito il diritto comune. La violazione di norma imperativa per i licenziamenti comporta sempre nullità, sia virtuali che testuali, per cui il legislatore ha individuato le fattispecie e le sanzioni più gravi, con applicazione unica dell’art. 18St. lav.
L’unicità di disciplina e sanzione corrisponde anche al fatto che, per i licenziamenti, le violazioni di norme imperative di contratto collettivo costituiscono anche violazioni di legge (art. 12 L. n. 604/1966).