CONVIVENZA: L’ACCORDO PATRIMONIALE TRA EX CONVIVENTI PUÒ ESSERE RISOLTO PER INADEMPIMENTO?
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1324/2024 si è pronunciata sul tema del mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati e in particolare sull’accordo negoziale intervenuto tra i genitori non più conviventi al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli.
Tale accordo è riconosciuto valido come espressione dell'autonomia privata non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l'adempimento di un obbligo "ex lege", l'autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite nell'effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all'interesse morale e materiale della prole.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Milano ha riformato la decisione di primo grado, respingendo l’opposizione, ex art. 645 c.p.c., promossa da M.P. avverso il decreto ingiuntivo con il quale si era ingiunto alla P. di pagare allo S., ex convivente, la somma di € 380.000,00 in forza della clausola di una scrittura privata sottoscritta da tali parti in data per definire gli aspetti relativi all’esercizio della responsabilità sul figlio minore e quelli patrimoniali.
Il Tribunale, pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo aveva accolto l’opposizione e rilevato che con tale accordo, avente natura transattiva, le parti avevano regolato gli aspetti concernenti l’affidamento e il mantenimento del figlio unitamente ad alcuni aspetti concernenti questioni patrimoniali pendenti tra le stesse. Il Tribunale aveva quindi dichiarato la risoluzione dell’accordo per grave inadempimento di S., che non aveva dato prova di avere regolarmente adempiuto al proprio obbligo di mantenimento del figlio minore.
La Corte d’appello, ritenuto l’accordo, diversamente da quanto affermato in primo grado, non un contratto di transazione, ma un accordo volto a regolamentare l’affidamento e il mantenimento del figlio, ex art. 337 ter co. 4 c.c., ed essendo il mantenimento della prole un obbligo che ex lege ricade su ciascun genitore, ha affermato, invece, che non era possibile esperire i rimedi dell’eccezione d’inadempimento (art. 1460 c.c.) e della risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 c.c.) che la legge prevede in ambito contrattuale a tutela del contraente non inadempiente, difettando in toto il necessario requisito della «corrispettività delle prestazioni».
Avverso la suddetta pronuncia, M.P. propone ricorso per cassazione, la quale in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
In particolare, la Cassazione, riconosciuto che rientrasse nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali, estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, ha vagliato con attenzione il contenuto complessivo delle pattuizioni, e della clausola in particolare, in base ai criteri di legge in ambito di interpretazione del contratto.
La sentenza impugnata, infatti, non ha provveduto a ricostruire la volontà delle parti, per come fatta palese dal ricorso ai criteri di interpretazione teleologica e sistematica, oltre che letterale del testo omettendo, in particolare, di vagliare il tenore letterale della clausola.
Si è così ritenuto che una delle parti, nell’ambito di un accordo con l’ex convivente sul mantenimento del figlio e sulla sostanziale sistemazione dei profili patrimoniali abbia riconosciuto un debito, del tutto disancorato dall’assunzione dell’obbligo ex lege.
Risultano pertanto essere stati violati i canoni legali ermeneutici, in primis quello letterale della singola clausola che va letta nell’insieme dell’accordo e con la prima parte dello stesso atto.
La conseguente conclusione circa la non possibilità di una risoluzione per inadempimento risulta dunque falsata ed erronea.